SAINT SEIYA CHRONICLES:
FIRST BLOOD

CAPITOLO F.19
SFIORARE LA TRAGEDIA


 
Agorà di Atene. I soldati ateniesi festeggiano la vittoria sugli Egineti scolandosi chenici e chenici di buon Retsina.
Cinegiro, Silver Saint dell’Eridano: Propongo un brindisi in onore del nostro stratega Milziade, per averci portato alla vittoria presso Egina e con l’auspicio che ci porterà alla vittoria anche contro gli infidi Persiani!
Un coro di esultanza si solleva da una grande fetta di soldati.
Temistocle: Tsk! Eppure, lì sul campo di battaglia, non mi è sembrato di aver mai visto il nostro stratega Milziade alzare le mani su uno dei suoi amici egineti.
Aminia, Silver Saint della Balena (ironico): Ah! Chi l’avrebbe mai detto?!
Milziade: Temistocle, ricordo male io o eri tu quello che durante il viaggio di andata diceva a tutti di andarci piano e di non uccidere se non strettamente necessario? Possibile che siano le stesse parole di quel Saint che ho visto divertirsi come un matto a falciare soldati con un gigantesco spadone di ghiaccio?
Cinegiro: Buuum! Beccati questa!
Ditirambo: Da quello che ricordo io, Milziade non ha fatto altro che fare domande stupide tutto il tempo e dubitare della buona riuscita del nostro piano per salvare la pellaccia a tutti, oltre che prendersi i meriti di tutto alla fine, naturalmente…
Cinegiro (rivolto a Ditirambo): Aspetta un momento. A te chi è che ha dato il permesso di parlare, eh? Come ti permetti di partecipare al nostro banchetto, tu che sei solo un liberto? Anzi, cosa dico? Non sei nemmeno quello, visto che ci hai abbandonato tempo fa per schierarti con gli Spartani. Non sei niente, non sei nessuno e non osare mai più dire una parola sul nostro comandante.
Soldati vari: Giusto! Ben detto! Ma che vuole questo?!
Callimaco: SILENZIO! Fino a prova contraria, Cinegiro, il comandante supremo dell’esercito sono io e io decido che Ditirambo d’ora in poi è a tutti gli effetti un oplita dell’esercito ateniese. Dovreste essergli tutti grati. Senza di lui non ce l’avremmo mai fatta a scamparla. Confermi le mie parole, Milziade?
Milziade: …
Callimaco: Milziade, confermi le mie parole?
Milziade: Sì, sì… confermo che ha dato un certo contributo in tutta la faccenda…
Cinegiro: Mmmhh… Se è Milziade a dirlo non posso dubitarne. Va bene, allora brindiamo insieme, Ditirambo. E perdona le mie parole di poco fa. Ammetto di essere un tipo piuttosto facile alla rissa e di certo l’influenza che Ares esercita su di noi anche adesso non aiuta.
Ditirambo: Scuse accettate.
Callimaco: Bene, a tal proposito Ditirambo ha avuto una brillante idea per non riprendere a scannarci tra di noi prima del confronto con i Persiani. Ditirambo, esponi a tutti la tua idea.
La folla fa cerchio intorno a Ditirambo, curiosa di ascoltarlo. Ditirambo immerge un bicchiere in un cratere, un grande recipiente usato per contenere il vino.
Ditirambo (con il bicchiere di vino in mano): Nulla di che. Ho proposto io a Callimaco questa allegra bevuta cameratesca. Penso che questa aggressività che sentiamo dentro di noi potrebbe tornarci utile nel confronto con l’esercito di Ares, ma in questo momento non possiamo rischiare di nuovo di venire alle mani tra di noi. Ovviamente sarebbe fatica sprecata tentare di reprimerla, quindi io dico di incanalarla in qualcosa di divertente. Quello che io propongo è di darci dentro con il vino, danzare, cantare e ballare tutti insieme! Citaredi, pizzicate le vostre corde e voi, flautisti, fiato agli strumenti!
Alcuni soldati iniziano a suonare una musica frenetica.
Ditirambo (dimenandosi e cantando): Quando il vino come un folgore sul cervello mi piombò, io Ditirambo intonare un canto per Atene ben so!
Cinquantina di soldati (in coro, intorno a Ditirambo): Per te cantiamo, o fulgida, o cinta di mammole, sonora di cantici, pilastro de l’Ellade, Atene famosa, divina città!
Ditirambo: E ORA VIA COL POGO!!!
Tutti i soldati rompono il cerchio, avvicinandosi di corsa a Ditirambo e prendendo a pogare tutti insieme a ritmo della musica.
Filippide (di ritorno dall’infermeria tutto fasciato): Ma cosa…?! Cos’è ‘sto bordello?
Aminia (immergendo un bicchiere nel cratere): Amico, non ti vedo messo molto bene. Siediti e bevi un buon bicchiere di vino in compagnia.
Callimaco (poggiando un braccio sulle spalle di Filippide): Mio caro, non dare peso a questi invasati. Ho un’importante missione per te.
Filippide: Una missione…?!
Callimaco: Molto presto andremo a battaglia con i Persiani. È quanto mai necessario che tu raggiunga Sparta al più presto per chiedere che ci inviino un contingente a supporto.
Filippide: Vorrebbe chiedere aiuto agli Spartani?!
Callimaco: Beh, ovviamente non possiamo contare sugli Egineti, quindi non ci restano che loro e i Plateesi.
Filippide: Capitano, come può vedere, dopo la recente battaglia sono ridotto a un colabrodo. Non potremmo inviare i corvi di Ditirambo?
Callimaco: Non sarebbe una grande idea. Da quello che ci ha raccontato Ditirambo, nei suoi ultimi giorni a Sparta ha rischiato più volte di essere fatto fuori. Sebbene ora, con la morte di Cleomene, la situazione potrebbe essere molto diversa, non possiamo correre il rischio che disintegrino i suoi corvi prima ancora di leggere il nostro messaggio.
Filippide: D’accordo, niente corvi. Però se non sbaglio c’è un altro emerodromo in condizioni molto migliori delle mie. Com’è che si chiama…? Ah sì, Eucle! Non potremmo mandarci lui a Sparta?
Callimaco: Negativo. Eucle è già ubriaco fradicio.
Filippide: Sigh! Spero almeno che mi sia concesso l’uso di un cavallo.
Callimaco: Mmmhh… Preferirei che raggiungessi Sparta usando la tua famosa velocità, ma mi rendo benissimo conto delle tue condizioni. D’accordo! Ad Atene non abbiamo molti cavalli, non disponendo di una cavalleria nel nostro esercito, ma abbiamo comunque alcuni ottimi stalloni. Cinegiro, vieni qua!
Cinegiro si avvicina ai due.
Cinegiro (brillo): Signore, sbaglio o mi ha appena definito un ottimo stallone? Guardi che la gente potrebbe equivocare!
Callimaco: Cinegiro, accompagna Filippide alle stalle dove teniamo i cavalli. Se non sbaglio ci lavora il tuo fratello scrittore, no?
Cinegiro (barcollando): Ah, quello smidollato! Va bene, Filippide, seguimi. Ti accompagno io.
Filippide e Cinegiro si allontano dall’agorà per raggiungere il maneggio della città. Lungo la strada Filippide prova a fare un poco di conversazione.
Filippide: E quindi questo tuo fratello sarebbe uno smidollato?
Cinegiro: Cos…?! Come ti permetti?
Filippide: L’hai definito tu così poco fa. Chiedevo soltanto come mai secondo te è uno smidollato.
Cinegiro: Certo che è uno smidollato! Lo è sempre stato. Uno stupido pacifista con un animo fin troppo sensibile. Preferisce fare il poeta, lui.
Filippide: In effetti non l’ho visto a Egina. Non ricordo neppure se abbia mai preso una investitura a Saint.
Cinegiro: Sì, l’ha presa, ma con la scusa di essere cagionevole di salute a causa di una brutta ferita subita a diciotto anni, ha sempre evitato di combattere, quando possibile. Al massimo ha partecipato a qualche campagna a corto raggio rimanendosene ben rintanato nelle ultime file.
Filippide: E le volte in cui non combatte si occupa dei cavalli…
Cinegiro: Le molte volte in cui non combatte si occupa dei cavalli, sì. Comunque, eccoci arrivati. Dietro questa porta lavora mio fratello Eschilo.
Cinegiro spalanca le porte di legno. Un forte odore di sangue e di morte pervade la stalla e inonda le narici dei due visitatori. Il fieno, il pavimento, le pareti… tutto l’ambiente è ricoperto di sangue, compreso il corpo di Eschilo, che se ne sta seduto in un angolo con gli occhi sbarrati.
Cinegiro (avvicinandosi al fratello): Eschilo, cos’è successo?
Eschilo (fissando gli occhi sui cadaveri dei cavalli): Fratello… ho… ho ucciso io tutte queste bestie? Perché da qualche tempo sento questo irrefrenabile desiderio di combattere e di uccidere? Cosa mi sta accadendo?
Cinegiro (con gli occhi luccicosi): Sì, sei stato proprio tu. Fratello mio, che gioia che mi dai!
Eschilo: Ma… questi poveri animali…
Cinegiro (aiutando Eschilo a rialzarsi): Su, su, non farne una tragedia, ora. L’importante è che il tuo spirito guerriero si sia finalmente risvegliato. Finalmente combatteremo fianco a fianco. Non possiamo continuare a sfigurare davanti a nostro fratello minore Aminia, che è già diventato Silver Saint. Dovremmo ringraziare Ares per tutto questo, se solo non dovessimo andare a sterminare tutto il suo esercito.
Eschilo: Sterminare? No, io non posso, non posso. Anche loro sono uomini come noi, hanno famiglie, affetti…
Cinegiro: Eschilo, ora non farmi incazzare. Anche noi Greci abbiamo famiglie, affetti e bla, bla, bla. Sono loro quelli che vogliono sottrarceli. Sono forse meno importanti i nostri cari dei loro?
Eschilo: Pensaci bene, Cinegiro. La loro reazione era più che prevedibile dopo che siamo andati a distruggere e incendiare Sardi. Quella che subiamo, in fondo, non è altro che l’ira degli dèi. Non c’è clemenza, infatti, per chi fa dono di templi e di tombe, asilo dei morti, allo squallore. Ricordo bene i tuoi racconti su quella spedizione: altari devastati, statue sacre divelte e gettate a terra alla rinfusa… Fratello, chi ha fatto del male, ne soffra altrettanto! Se non avessimo compiuto un atto così empio, Dario non avrebbe mai valicato il confine del fiume Halys!
Cinegiro (tirando uno schiaffo a Eschilo): Maledetto idiota! Sono loro che hanno versato sangue per primi invadendo la Ionia ai tempi di re Ciro. Sono loro quelli che meritano ogni possibile sofferenza per tutti i mali che ci hanno inflitto e che vogliono ancora infliggerci cercando di sottrarre la libertà a tutto il popolo greco. È questo che vuoi? Vivere in schiavitù?
Eschilo: Non so più quel che voglio e che non voglio, Cinegiro. So solo che ora ho un irrefrenabile desiderio di uccidere.
Cinegiro (tirando una pacca sulla schiena di Eschilo): Benissimo, in tal caso parteciperai anche tu alla battaglia contro i Persiani. È deciso!
Eschilo: Ehi, fai piano! Lo sai che la schiena mi fa ancora un male cane.
Cinegiro: Ah, è vero. Scusa.
Eschilo: Cinegiro, chi è il tuo amico? Lo conosco? Posso ucciderlo?
Filippide: Sono Filippide. Ti ricordi di me? Ci siamo incrociati qualche volta presso l’agorà.
Eschilo: Ah sì, Filippide! Il famoso emerodromo.
Filippide: Proprio lui. Ascoltami, Eschilo. Ti prego, dimmi che hai risparmiato qualche cavallo o che ne tieni qualcuno da qualche altra parte.
Eschilo: In effetti abbiamo un altro fienile. Lì abbiamo moltissimi altri cavalli.
Filippide: Ottimo!
Eschilo (incerto): Ma, ora che ci penso, credo di avere ucciso pure quelli…
Filippide: Non ne avanza proprio nessuno? Nemmeno uno piccolo piccolo?
Eschilo (con sicurezza): No. Finiti.
Filippide: Sigh. Va bene, ho capito. Ci vado a piedi fino a Sparta.
 
 
Nel frattempo, l’immensa flotta persiana è all’ancora presso il territorio di Eretria. Sulla terraferma, a breve distanza dalla spiaggia, Demarato e Ares stanno giocando a dadi sotto la skēndi Dario, la tenda personale del sovrano di Persia, sontuosa come una piccola reggia trasportabile.
Demarato (dopo aver lanciato i dadi): Evvai! Con questo lancio ho vinto la città di Teutrania. Insieme a Pergamo e Atisarna fanno finora ben tre località della Misia.
Ares: E che cavolo…
Demarato: Dai, su, vedrai che prima o poi la fortuna girerà anche in tuo favore. Pronto per un altro lancio? Cosa punti stavolta? Guarda che poi le voglio sul serio quelle città, eh!
Ares: Non potresti usare per una volta anche tu i miei di dadi? Così, tanto per variare…
Demarato: E perché mai? Stai forse insinuando che io stia barando? Pensi che un umile mortale potrebbe mai permettersi di raggirare un dio?
Ares: Dico solo che mi pare strano che per dodici tiri di fila ti sia uscito sempre lo stesso risultato…
Proprio in quel momento irrompe nella tenda Kokalo.
Kokalo: Mio signore, Dio Re, abbiamo bisogno di lei.
Demarato: Ehi, non si usa più bussare? Sparisci! Il tuo dio re sta per ribaltare le sorti del gioco con uno strepitoso lancio di dadi. Non è vero, Ares? Dai, che stavolta mi umili.
Ares: Kokalo, cosa c’è?
Kokalo: Se ricorda, aveva mandato Phobos a schierare l’esercito per la battaglia contro gli Eretriesi. Pare però sia sorto un piccolo problema con i nostri avversari. Penso sia meglio che venga a vedere di persona…
Ares: Va bene, arrivo. Demarato, vieni anche tu?
Demarato (buttandosi su un lettino): Ma che mi frega a me degli Eretriesi! Sbrigati a tornare, piuttosto, che dobbiamo finire la partita.
Ares: Ssssì
Uscendo dalla tenda, Ares nota che non c’è anima viva in tutto il campo e sulle navi ormeggiate.
Ares: Stai a vedere che…
Ares raggiunge Phobos di gran passo, constatando che il suo generale ha schierato l’intero esercito, un fronte di soldati talmente ampio che un uomo, ponendosi a metà strada e pur sforzando la vista, non riuscirebbe a vederne l’inizio o la fine. Ad affrontare una tale imponente armata non vi è però nessuno, a parte una palla di fieno che rotola via mossa dal vento.
Ares: Testa di rapa! Gli Eretriesi sono solo dei nemiciattoli di scarso valore. Se schieri l’intero esercito è ovvio che poi quelli neanche si presentano.
Phobos (agitando il suo Bastone Infernale): SI DEVONO SPAVENTAAAAAREEEE!!!
Ares: Sì, bravo, bella mossa! Ora come minimo si sono asserragliati all’interno della città e per assediarla rischiamo di tardare sulla nostra tabella di marcia.
In quel momento appare una grossa sfera di cosmo di colore rossastra, da cui fuoriesce Ema. La sfera scompare subito dopo.
Ares: Ema, dammi buone notizie, almeno tu.
Ema: Non saprei bene come definirle, signore.
Ares: Racconta. In che condizioni è l’esercito ateniese dopo la battaglia a Egina?
Ema: Hanno subito diverse perdite, ma sono ancora numerosi… se così si può dire…
Ares: Cioè?
Ema: Vale a dire che ho potuto verificare con i miei occhi che il tanto decantato esercito ateniese è ben misera cosa in confronto allo sconfinato esercito persiano.
Ares: Può darsi, ma ricorda che non dobbiamo sottovalutare gli opliti che hanno ricevuto l’investitura a Saint. Ehi, perché fai quella faccia?
Ema (con una strana smorfia): Signore… Quando sono andato a spiarli, quasi tutto l’esercito stava… ballando e cantando… e bevendo come delle spugne…
Ares: Ubriacarsi e ballare pochi giorni prima di una battaglia? Devono essere completamente impazziti! La cosa peggiore in questa faccenda, però, è che hanno smesso di uccidersi tra loro. Farò scendere subito direttamente sulla polis una tripla dose di nebbia rossa!
Ema: Eccellente idea, mio signore!
Ares: Certo che sì! Ora andiamo a espugnare le mura di Eretria. Armatevi di pazienza perché potrebbe volerci un po’.
Phobos: Facciamogli vedere il peggio del peggio, adesso. ARRIVA IL PEGGIO DEL PEGGIOOOO!!!
 
 
Dopo quasi due giorni di corsa, Filippide raggiunge i confini della Laconia, nei pressi del monte Partenio.
Filippide rallenta. Fino a quel momento aveva tenuto duro. Ricorda bene quando, pochi giorni prima, si vantava davanti a Policrito di come il suo punto di forza fosse la resistenza alla fatica e al dolore. Possibile che fosse solo millanteria? Continua a ripetersi questa domanda, per trovare la forza di fare qualche altro passo. Ormai manca poco a Sparta e il destino di Atene è nelle sue mani. Prova a recuperare un buon ritmo di marcia, ma i dolori lo tormentano oltre ogni limite. La Silver Cloth, che, grazie alla sinergia con le stelle, fino a poche ore prima ancora gli consentiva di correre come una lepre, ora sembra un guscio ingombrante e pesante. Ogni ferita subita a Egina, anche la più piccola, ha finito per riaprirsi, sporcando di sangue le sue fasciature. Dalla testa ai piedi non c’è parte che non gli dolga. Ciascun livido, ciascuna ferita, ciascun muscolo indurito contribuiscono a frenarlo e a farlo soffrire. Sa che non potrà resistere ancora a lungo. Forse è addirittura questione di istanti prima che il suo corpo ceda del tutto. La vista è completamente annebbiata, il respiro un rantolo. Nota una figura in lontananza. La vede ondeggiare, muoversi a sinistra e a destra. Sa che potrebbe essere qualsiasi cosa: un albero, una persona o perfino niente, solo una macchia confusa sulla sua palpebra colpita dai raggi del sole e umida delle ultime lacrime che gli velano lo sguardo a causa dello sforzo.  Ode però il suono di una musica. Sembrano le note di un flauto, probabilmente una siringa. Compie ancora qualche passo e, avvicinandosi, distingue un poco meglio la piccola figura. La vede danzare e saltellare da una roccia all’altra. È da lei che proviene quel suono. Possibile che nei suoi ultimi istanti di vita gli sia stato concesso di incontrare una divinità? Possibile che nientemeno che il dio Pan abbia riconosciuto gli sforzi della sua impresa e che stia suonando in suo onore? O forse che sia normale, tra la vita e la morte, superare per un istante la barriera che intercorre tra ciò che è mortale e terreno e ciò che è divino? O forse, molto più semplicemente, la sua è una allucinazione, sia visiva che uditiva. Il suo corpo lo sta abbandonando, sarebbe del tutto normale che anche la mente facesse altrettanto.
Ancora qualche passo. Ora intravede un’altra figura riccioluta seduta su un grande masso, che osserva quell’altra mentre danza e, nel mentre che osserva, beve avidamente da un calice.
Dioniso. Ricorda dai miti come i due abbiano stretto amicizia subito dopo che Ermes accompagnò il piccolo Pan presso l’Olimpo, per far divertire gli dèi con la sua musica e le sue danze.
Ancora qualche passo. Sbatte contro uno strano oggetto metallico, abbastanza grande da arrivargli all’altezza della cintola. Cerca di riconoscerlo con il tatto, prima ancora di sforzare gli occhi. Alla fine comprende che è un cratere, pieno di liquido rosso. Porta le dita bagnate alle narici e ne percepisce l’odore. Vino.
Figura riccioluta: Amico, non ti vedo messo molto bene. Siediti e bevi un buon bicchiere di vino in compagnia.
Le stesse parole di Aminia. Ora sa con certezza che sta impazzendo e, così, si lascia cadere sulle ginocchia.
La figura si avvicina e gli porta un boccale alle labbra.
Figura riccioluta: Fidati di me, questo vino può fare miracoli. Ecco, tirati su, bevi direttamente dal cratere, è ancora meglio.
La figura riccioluta aiuta Filippide a rialzarsi e gli porta il viso vicino alla superficie del vino. Filippide, incapace di reagire in alcun modo, accetta di buon grado la proposta fattagli dal misterioso individuo e avvicina le labbra. A causa della stanchezza non è però in grado di prendere bene le misure e finisce per tuffare l’intera faccia. Cerca di tirarsi su, ma una mano gli tiene la testa immersa.
Figura riccioluta: Su, bevi… BEVI!
A Filippide non serve molto per annegare. Era già un miracolo respirare fino a pochi istanti prima. Sente quindi il vino invadergli non solo la gola e lo stomaco, ma anche i polmoni. È convinto che sia ormai la fine, quando la mano molla finalmente la presa e lui può infine tirare su di colpo la testa, lanciando un pittoresco e umido arco vermiglio nell’aria.
Spalanca la bocca in cerca di aria e con sua sorpresa l’aria invade il suo corpo come un fiume in piena, senza alcuno sforzo. La vista non è più offuscata, ma perfettamente nitida. Le forze gli sono tornate, i dolori svaniti, i muscoli rilassati. Perfino le ferite che lo accompagnavano dalla battaglia di Egina sono scomparse.
Figura riccioluta: Bene, ti sei ripreso!
Filippide indietreggia attonito e si guarda attorno. È un semplice uomo quello che lo ha immerso nel vino, così come è un semplice bambino, riccioluto anche lui, quello che ora ha smesso di suonare e che lo osserva incuriosito. Abbassa gli occhi verso il cratere e infine comprende.
Filippide: Tu… tu devi essere Megistia della Coppa.
Megistia: Proprio io. E quel piccoletto laggiù è mio figlio Mishima. Grazie alle visioni che ricevo dall’armatura della Coppa, sapevo che saresti passato di qui in fin di vita, e così ho deciso di aiutarti.
Filippide: Quindi la leggenda è vera! Bevendo dalla tua cloth è possibile lenire ogni male. Non so proprio come ringraziarti.
Megistia: Non devi ringraziarmi. Anzi, ti supplico di perdonarmi.
Filippide: Perdonarti?! Per cosa?
Megistia: Perché la prossima volta non potrò aiutarti. L’Attica sarà piena zeppa di Berserker e non posso correre il rischio di essere acciuffato da loro.
Filippide: La prossima volta?! Non sono certo di aver capito bene cosa stai dicendo di preciso… Vorresti forse dire che… No, aspetta, cos’è che vorresti dire?
Megistia: Non importa. Lo capirai. Ora è meglio che tu prosegua il tuo viaggio. Hai ancora parecchie cose da fare.
Filippide: Sì, hai ragione. Ti ringrazio ancora tantissimo, Megistia. Ti prometto che saprò sdebitarmi in qualche modo.
Filippide riprende la sua corsa, più vispo e pieno di energie che mai.
Megistia (quando Filippide è ormai già lontano): No, non credo che lo farai.
Mishima: Papino, piantala di spoilerare!
Megistia: Scusami, figliolo, che si fa ora? Ti va un bel film in streaming da guardarci nella Sacra Coppa? Che ne dici di Terminator?
Mishima: Sei sempre così antiquato, papino! Sempre a guardare quei film vintage. Voglio Game of Thrones! Game of Thrones! Daaiiii, ci manca solo l’ultima puntata!
Megistia: Ooook! Vediamo se la Madre dei Draghi saprà mantenere il trono di Westeros fino alla fine!